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FUNZIONE PUBBLICA AL LAVORO PER UN DECRETO DI PROROGA - SMART WORKING GUARDA AL 30 APRILE 2021

CSE FLPL

FUNZIONE PUBBLICA AL LAVORO SU UN DECRETO DI PROROGA
P.a., lo smart working guarda al 30 aprile


Fabiana Dadone

Fabiana Dadone

Lo smart working semplificato (senza la necessità di un accordo individuale con il lavoratore) guarda al 30 aprile, ossia all'attuale scadenza dello stato di emergenza. La normativa sull'applicazione del lavoro agile con le modalità semplificate stabilite dal decreto Rilancio (art.263 del dl 34/2020) è stata rinviata al 31 marzo dal decreto legge Milleproroghe (dl n.183/2020) in corso di conversione alla Camera. Ma tale proroga, precisa la Funzione pubblica in una nota, «non inficia in alcun modo la disciplina del Piano organizzativo del lavoro agile (Pola)» che le pubbliche amministrazioni dovranno approvare entro il 31 gennaio. 


Per il momento dunque lo smart working semplificato, che consente agli uffici pubblici di far lavorare in modalità agile il 50% del personale utilizzabile nelle attività che possono essere svolte a distanza, arriverà fino a fine marzo, ma è in vista un allungamento fino al 30 aprile in modo da farlo coincidere con la fine dello stato di emergenza. 


A comunicarlo è lo stesso dicastero guidato da Fabiana Dadone che ha annunciato di essere al lavoro su un decreto di proroga, in corso di registrazione, che dovrà far slittare al 30 aprile «le modalità organizzative, i criteri e principi in materia di flessibilità del lavoro pubblico e di lavoro agile stabiliti dal decreto ministeriale 19 ottobre 2020, allineandone la validità alla durata dello stato d'emergenza».


A quel punto la percentuale di attività che potranno essere svolte in modalità agile salirà oltre la soglia del 50%, considerata dal dm una soglia minima per le p.a.. In pratica un punto di partenza e non un punto d'arrivo (il decreto non a caso utilizza l'avverbio «almeno» per rimarcare la differenza con lo smart working del dl Rilancio).


Dopo le deroghe del periodo emergenziale, bisognerà definire il quadro normativo e regolamentare del lavoro agile e a questo proposito la ministra della Funzione pubblica si è già detta disponibile, qualora si creassero le condizioni, (anche alla luce dell'attuale crisi di governo) a riprendere le interlocuzioni con le organizzazioni sindacali. 


Next generation Eu: quanta disuguaglianza possiamo ancora permetterci?

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Next generation Eu: quanta disuguaglianza possiamo ancora permetterci

La seconda, drammatica, ondata della pandemia da Covid-19 ha posto in secondo piano il dibattito sui possibili usi dei fondi europei per la ripresa.

È necessario ricordare, invece, che quello che viene chiamato “recovery fund” è stato denominato dalla Commissione Europea “Next generation EU”, una denominazione che, parafrasando De Gasperi, guarda alla prossima generazione e non alla prossima elezione.

A nostro parere, è utile continuare a parlare di uso alternativo di fondi dai quali dipende il futuro del nostro Paese mettendo al centro i due principali nodi da sciogliere: il primo riguarda le politiche di riduzione delle disuguaglianze, non già e non solo per senso di giustizia e per rispondere al dettato della nostra Costituzione (che sarebbero già sufficienti come argomenti), ma per stimolare una crescita economica stabile e duratura.

Gli studi di Stiglitz a livello internazionale, di Alesina e Perotti in Italia e le evidenze empiriche riportate da Francisco Ferreira e dalla Banca Mondiale, dimostrano in modo abbastanza chiaro la correlazione negativa tra disuguaglianza e crescita economica. Questa correlazione risulta ancora più forte a seguito di uno shock economico quale sicuramente è la pandemia di Sars-Cov 2.

I motivi sono intuitivi: una forte disuguaglianza riduce le opportunità di una parte della popolazione e impedisce di esprimere a pieno il potenziale economico; aumenta la possibilità di tensioni sociali, episodi di violenza e instabilità anche politica e quindi disincentiva gli investimenti privati interni e attrae meno capitali dall’estero; favorisce un’allocazione inefficiente delle risorse; aumenta il potere delle lobby che cercano di accaparrarsi i fondi.

Quelli elencati sono tutti buoni motivi per avviare politiche che riducono la disuguaglianza sociale ed economica in un Paese che ha visto, come in tutto il mondo, aumentare gli squilibri. Per fare ciò è necessario investire, ad esempio, in formazione generalizzata che aumenti il pieno dispiegarsi delle potenzialità individuali, intervenire per la riduzione dei gap di genere, stimolare la creazione di posti di lavoro stabili e riprendere il cammino verso una legislazione del lavoro che garantisca i diritti sociali dei lavoratori.

Perché ciò si realizzi, però, la precondizione è che lo Stato intervenga direttamente affinché, come prevede l’articolo 41 della Costituzione, vi sia un indirizzo a fini sociali dell’iniziativa economica pubblica e privata.

E qui nasce il secondo problema: la sempre più invocata concordia politica, che dovrebbe sfociare in un indirizzo quasi unanimistico delle scelte.

Molti commentatori auspicano un governo di larghe intese o comunque una cabina di regia unica e condivisa tra tutte le forze politiche.

Ma siamo certi che uno scenario di questo tipo non porterebbe a politiche al ribasso che guarderebbero alle prossime elezioni anziché alla prossima generazione?

Come si può pensare che partiti politici conservatori, che legittimamente rivendicano politiche fiscali a favore della parte più ricca del Paese, possano accettare un intervento pubblico nell’economia che riduca le disuguaglianze? Chi sostiene ancora l’efficacia della curva di Laffer e l’abbassamento dell’imposizione a carico dei più ricchi, certo che alla restante parte del Paese la ricchezza arriverebbe “per colatura”, accetterebbe mai di cambiare la propria visione? Allo stesso modo, riguardo al lavoro, è pensabile che chi sostiene la “deregulation” del mercato del lavoro e la funzione salvifica della “mano invisibile” sui mercati possa di colpo cambiare opinione? È auspicabile un compromesso tra due posizioni antitetiche? Non è molto meglio immaginare scelte nette rispetto alle quali i decisori politici si assumono piene responsabilità nei confronti del Paese?

Questi sono i nodi da sciogliere se vogliamo incamminarci verso una “policy for the new generation”.          

SPOSTAMENTO RSU E RILEVAZIONE ASSOCIATIVA PER LA RAPPRESENTATIVITA' 2022/2024

ART. 15 D.L. 30.11.2020  N- 157 in G.U.
Differimento delle elezioni degli organismi della rappresentanza sindacale 1. Tenuto conto dell'emergenza epidemiologica in atto, con riferimento al periodo contrattuale 2022-2024, i dati relativi alle deleghe rilasciate a ciascuna amministrazione, necessari per l'accertamento della rappresentativita' di cui all'articolo 43 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, sono rilevati alla data del 31 dicembre 2021 e trasmessi all'ARAN non oltre il 31 marzo dell'anno successivo dalle pubbliche amministrazioni, controfirmati da un rappresentante dell'organizzazione sindacale interessata, con modalita' che garantiscano la riservatezza delle informazioni. In via eccezionale e con riferimento al periodo contrattuale 2022-2024 sono prorogati, in deroga all'articolo 42, comma 4, del decreto legislativo n. 165 del 2001, gli organismi di rappresentanza del personale anche se le relative elezioni siano state gia' indette. Le elezioni relative al rinnovo dei predetti organismi di rappresentanza si svolgeranno entro il 15 aprile 2022. 2. Gli appositi accordi di cui all'articolo 42, comma 4, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, per le elezioni per il rinnovo delle rappresentanze sindacali unitarie, possono prevedere il ricorso a modalita' telematiche in funzione dello snellimento delle procedure anche con riferimento alla presentazione delle liste ed alle assemblee sindacali.