DI MARCHETTI ALESSANDRO E GUGLIELMO
Il 24 settembre 2019 è stata fissata l’udienza del processo che vede Fabio Fucci imputato per il delitto di diffamazione a mezzo stampa ai danni del sindacato DiCCAP e di Michele Gregis. All’epoca infatti rappresentavo i lavoratori della Polizia Locale quale sindacalista territoriale e membro della RSU.
Essendo parte offesa mi costituirò parte civile per fornire il mio contributo alla ricostruzione dei fatti che hanno riguardato la questione dei dipendenti del Comune di Pomezia, i cui contratti a tempo indeterminato sono stati sottoscritti con anni di ritardo poiché il Comune di Pomezia ha assunto una posizione sbagliata in contrapposizione con il sindacato.
Una serie di errori politico amministrativi costati anni di patimenti ai lavoratori, circa un milione di Euro alle casse comunali e lo scontro con le parti sociali il cui ruolo sociale è stato mistificato e marginalizzato.
Considero un dovere civico la partecipazione al processo poiché le affermazioni provenienti dal profilo facebook intitolato a Fabio Fucci e riprese sulla stampa, per me diffamatorie, sono state rivolte da un amministratore pubblico ad un rappresentante di un organismo di rilievo costituzionale quale è il sindacato, che chiedeva l’applicazione delle regole, a chi alle regole da amministratore pubblico ha giurato fedeltà.
Durante quel confronto, per attività condotte fuori dall’orario di lavoro ed in ambito sindacale, sono stato fatto segno di due provvedimenti disciplinari, di cui uno su segnalazione del Sindaco Fucci ed uno dell’allora Segretario Comunale. Uno dei due provvedimenti scaturì in un richiamo verbale per questioni di mera opportunità essendo stato riconosciuto il mio comportamento aderente a leggi e regolamenti. Il secondo provvedimento su cui tanto insistette il dott. Di Ascenzi e per critiche a lui rivolte, fu annullato dal Giudice del Lavoro.
Oggi come allora non mi è comprensibile il motivo per cui il Comune di Pomezia spese tanto denaro pubblico per difendere atti illegittimi. Oggi come allora confido nelle strutture repubblicane che la costituzione ha costruito con ampi bilanciamenti per correggere le derive individuali.
Oggi Fabio Fucci da politico di opposizione richiede sui giornali il rafforzamento della sicurezza, ma durante il proprio governo, quando ha potuto scegliere, non ha mai assunto un solo agente della Polizia Locale, preferendo nella programmazione assunzionale impiegati amministrativi, contabili, autisti informatici e quant’altro, lasciando che l’organico della Polizia Locale diminuisse costantemente per effetto di pensionamenti e dimissioni.
A Fabio Fucci spetta il diritto di difendersi in aula contro il decreto penale di condanna e ricorrere fino alla cassazione, sul discernimento tra il diritto di espressione e l’uso delittuoso dei media.
In questo processo Fabio Fucci si avvale dell’affermato Avv. Leoncilli, noto per essere già stato incaricato di molte cause per conto del Comune di Pomezia. Io sarò assistito dall’Avvocato Mario Pinchera che con il suo studio legale assicura da anni la costituzione di parte civile agli agenti della Polizia Locale vittime di aggressioni.
In giurisprudenza si è a lungo discusso se il diritto alla richiesta di assemblee retribuite spettasse, in via esclusiva, alla RSU come organo collegiale o se lo stesso si potesse estendere anche alle sue singole componenti (in questo senso si era espressa la Cassazione del 7 luglio 2014, n. 15437)
In merito, per ultimo, è intervenuta una recente sentenza della Corte di Cassazione Sezione Unite civili del 6 giugno 2017, n. 13978 chiarendo che il potere di convocazione dell'assemblea dei lavoratori può essere esercitato anche singolarmente da ogni componente della RSU. Infatti, l'art. 4 dell'accordo interconfederale 20 dicembre 1993 prevede quanto segue: “I componenti delle r.s.u. subentrano ai dirigenti delle r.s.a. nella titolarità di diritti, permessi, libertà sindacali e tutele già loro spettanti; per effetto delle disposizioni di cui al titolo 3° della legge n. 300/1970”. Nella sentenza summenzionata si legge che: “il tenore letterale dell'art. 20 cit. è nel senso che l'indizione dell'assemblea può avvenire «singolarmente o congiuntamente» da parte delle r.s.a. di cui al precedente art. 19. Dunque, nell'originaria ottica statutaria la legittimazione a chiedere l'assemblea è sicuramente (anche) della singola rappresentanza”. A sua volta l'art. 4, comma 1, del citato accordo interconfederale 20 dicembre 1993, stabilisce che i componenti delle r.s.u. subentrano ai dirigenti delle r.s.a. nella titolarità dei diritti, permessi, libertà sindacali e tutele già loro spettanti per effetto delle disposizioni di cui al titolo III della L. n. 300/1970 (la clausola si riferisce ai diritti dei singoli lavoratori dirigenti di r.s.a. e opera su un piano di tutele squisitamente personali), mentre il successivo art. 5, comma 1, prevede che alle r.s.a. e ai loro dirigenti subentrino le r.s.u.. “Il combinato disposto dell'art. 20 (là dove afferma che le riunioni sindacali possono essere convocate «singolarmente o congiuntamente») e dell'art. 5 cit. (per cui le r.s.u. sono subentrate alle r.s.a. e ai loro dirigenti nella titolarità dei poteri e nell'esercizio delle funzioni che la legge conferisce loro), non fa emergere alcun aggancio letterale che possa far ritenere che tale subentro sia sì avvenuto, ma con contestuale mutamento di quella legittimazione ad indire l'assemblea che il cit. art. 20 espressamente prevedeva (e ancora oggi prevede) come non necessariamente congiunta”.